L’accelerazione che il processo costitutivo del Partito Democratico Sardo sta conoscendo in questi giorni non può essere guardata che in maniera positiva. L’aggregazione dei principali partiti della maggioranza che governa la Regione è un fattore destinato a portare chiarezza e semplificazione in uno scenario politico che, nell’Isola, si presenta più frammentato di quello nazionale. Ridurre il numero di voci con cui il centrosinistra si esprime può agevolare la nascita di un confronto costruttivo con chi oggi, in Consiglio regionale ma spesso anche nelle istituzioni locali, si trova a svolgere attività di opposizione e deve fare i conti con maggioranze che rigettano quasi sistematicamente qualsiasi proposta che non porti la loro firma, rendendo così inevitabile lo scontro.
La configurazione di partito di massa che si vuole dare al nuovo soggetto politico rappresenta una novità da non sottovalutare. Posto che il centrosinistra si trova a governare, soprattutto con esponenti facenti riferimento al nascente Partito Democratico Sardo, un numero significativo di istituzioni locali, a partire dalla stessa Regione, è auspicabile che il processo di trasformazione in corso possa portare all’apertura di un dialogo con la società isolana, in particolare con quell’ampia parte che a cadenza quasi quotidiana manifesta sotto i Palazzi di via Roma e viale Trento. E’ innegabile che il centrosinistra oggi non ha più un contatto diretto con la società sarda, a partire dal proprio elettorato. E’ una situazione da cui nessuno ha da guadagnare, a meno di non voler cavalcare strumentalmente l’onda del disfattismo basandosi sul concetto che quanti più errori vengono commessi da chi oggi sta al governo, tanto maggiori saranno i voti che chi sta all’opposizione prenderà alle prossime elezioni. Il prezzo da pagare, però, sarebbe troppo alto con una Sardegna già ridotta allo stremo.
La nascita del Partito Democratico Sardo potrà mostrarsi utile anche per restituire alla Giunta regionale le sue funzioni di organo collegiale di governo. Degli assessori che possano dirsi espressione diretta di un partito di così ampie dimensioni avranno una forte legittimazione che consentirà loro di acquisire l’autonomia e l’autorevolezza di cui oggi mancano in quanto, in molti casi, espressione individuale del governatore, suoi collaboratori di fiducia e non rappresentanti, seppure per via indiretta, dell’elettorato. L’esecutivo potrà così cessare di identificarsi totalmente con il Presidente e garantire il democratico riequilibrio dei poteri.
Per il centrodestra, il processo costitutivo del Partito Democratico Sardo rappresenta innegabilmente una sfida. La coalizione deve confrontarsi al suo interno su quale sia la miglior risposta da dare alle trasformazioni in atto nel centrosinistra e se un analogo processo di aggregazione può essere la soluzione ideale, a patto che non vi siano fughe in avanti individuali o maldestri tentativi di annessione. La Casa delle Libertà dovrà rifuggire dalle tentazioni verticistiche e promuovere una vera partecipazione popolare, che non può essere esclusiva della parte avversa.
Infine, la nascita del Partito Democratico Sardo consentirà di verificare la consistenza elettorale dell’intero centrosinistra, non solo del nuovo soggetto. E’ lecito aspettarsi che, una volta terminato il processo di aggregazione, i consiglieri regionali e gli amministratori locali di Ds, Margherita e Progetto Sardegna rassegnino le dimissioni dalle loro cariche, essendo venuta meno la legittimazione popolare che viene loro dall’essere stati eletti nelle file di partiti che allora non esisteranno più. Poiché il Partito democratico non sarà la semplice sommatoria di alcune forze politiche ma un soggetto affatto nuovo, come tale dovrà proporsi agli elettori per dimostrare la sua consistenza numerica e la condivisione delle sue proposte politiche da parte della gente, ed essere così pienamente legittimato a governare, qualora gli elettori dovessero decidere in tal senso.
on. Mario Diana
Cagliari, 23 agosto 2007