Quando il bersaglio della polemica è una persona, quando l’obiettivo è quello di distruggere l’interlocutore, la polemica cessa di essere una manifestazione della dialettica.
Un gesto gravissimo ed incivile, sinonimo d’intolleranza: quanto è avvenuto rappresenta un disvalore che non appartiene al popolo italiano e che è totalmente estraneo a chi è chiamato a rappresentarlo nella massima istituzione autonomistica. In qualità di consigliere regionale e di capogruppo del partito di maggioranza relativa, sento dunque l’obbligo morale – e non solo formale – di manifestare al Presidente del Consiglio dei Ministri la più profonda solidarietà unendo a ciò fervidi auguri di pronta guarigione.
Quanto è accaduto è motivo di riflessione per tutti. Mi rammarica che le vicende nazionali rimbalzino sulle prime pagine e nei titoli dei network mondiali per fatti di tale gravità. Non di meno mi rattrista pensare che il gesto di uno squilibrato - come affermano analisti e commentatori – appaia o sia l’effetto, in questo caso incidentale, di un clima di violenza verbale e concettuale, percepito facilmente anzitutto dalla sensibilità del comune cittadino.
Una nota dell’Osservatore Romano avverte il pericolo che «tutto possa riprendere allo stesso modo, e che il pesante souvenir del Duomo scagliato sul viso del Presidente del Consiglio sia considerato, tutto sommato, un fenomeno fisiologico del confronto politico». Questa lettura, la si consideri valida o meno, chiama ciascuno di noi ad uno sforzo dialettico ed una collegiale assunzione di responsabilità.
Ora più che mai – nel linguaggio, nel commento, nella difesa tenace ma non oltraggiosa delle rispettive posizioni politiche – è auspicabile che si cerchi di non superare il livello di guardia. Non di meno mi persuade quanto affermato dal Ministro della Giustizia a proposito del fatto che il gesto di un folle non possa né debba essere derubricato come una semplice azione di demenza: la complessità dell’avvenimento ci vincola a leggere con maggiore intelligenza il segnale di un sillogismo che, d’altro canto, rischia di apparire pervicace e pericoloso.
Una lettura manichea della lotta politica sembra avallare l’idea che il nemico ha un nome, l’avversario ha un volto: il passo è breve perché a ciò segua l’emulazione dell’offesa, prima verbale, poi addirittura fisica. Rifiutare e condannare la violenza significa creare le condizioni per ristabilire con immediatezza il clima di civiltà politica e di sociale rispetto verso l’altro.
È invece disprezzabile motivare l’offesa fisica e l’insulto sistematico e personale collegando queste manifestazioni d’odio con la congiuntura sociale. Vi è chi non ha avuto la forza di sottrarsi a questa lettura. La cosa si commenta da sola ma spiace che ciò abbia affermato addirittura chi ha maturato una rodata esperienza politica e di gestione della cosa pubblica. Ognuno - del resto - sa in coscienza quanto ha fatto e fa per alimentare l’estremizzazione del confronto. Dispiace perciò udire talune affermazioni che da un lato manifestano la solidarietà al premier e dall'altro annoverano tra gli artefici di questo clima il Capo del Governo, pregandolo di non fare la vittima.
Nessun commento:
Posta un commento