giovedì, settembre 23, 2010

Illustrazione della mozione del Popolo Della Libertà sulla riscrittura dello Statuto Speciale di Autonomia della Sardegna

Seduta consiliare del 22 settembre 2010


Credo che questa sessione di lavori sia da considerare, per quanto mi riguarda, almeno per la mia breve o lunga esperienza in quest’Aula, come uno dei fatti certamente più rilevanti delle ultime tre legislature. Mi pare altresì di aver ascoltato con attenzione il decano del Consiglio, il collega Contu, che certamente più di me ha partecipato, che più di noi ha visto e sentito, per cui non posso che confermare che questa è una sessione assolutamente straordinaria, di un’importanza che forse all’esterno forse non è stata ancora percepita.

Leggo con attenzione i quotidiani, la stampa, e mi pare di trovare riferimenti giornalistici di scarso spessore. Stiamo affrontando una materia che è in assoluto la più importante, quella che più di altre può dare risposte, non per oggi, ma per oggi, per domani, e forse, credo, per i prossimi sessant’anni, visto che ancora oggi citiamo i Padri che hanno partorito il nostro Statuto, ma li citiamo dopo sessant'anni, abbiamo ancora necessità di citare loro. Pochissimi interventi, mi pare, si sono riferiti a colleghi, consiglieri regionali, personaggi illustri della Storia sarda che non appartengano a quel periodo. Ho la presunzione di pensare – dovremmo averla tutti la presunzione di pensare – che fra cinquant’anni qualcuno potrà citare qualcuno dei ragionamenti che stiamo facendo in quest’Aula, che gli atti parlamentari che ci apprestiamo a mandare avanti possano essere ricordati dalle nuove generazioni. Credo che debba essere questo l’approccio necessario per capire la rilevanza di ciò che noi stiamo dicendo.

La materia non è semplice. Nella nostra mozione abbiamo parlato di riforma dello Statuto, ma forse parlare solo di questo è limitativo perché, come tutti voi sapete, non esiste solo lo Statuto della Regione Sardegna: esiste la legge Statutaria, alla quale dobbiamo metter mano, esiste la legge regionale 1, che bisogna modificare, esiste tutta una serie di norme collegate delle quali non possiamo assolutamente non fare menzione. Esiste poi un altro argomento, più nuovo questo, che è stato abbondantemente citato ieri dal collega Maninchedda, che è il federalismo fiscale, un’altra materia che ci deve vedere molto impegnati.

Non so quale possa essere il collegamento tra le modifiche statutarie, la legge Statutaria, la legge 1 e il federalismo fiscale; certo è che sono quattro argomenti dei quali dobbiamo interessarci, e molto, e non lo so se quest’Aula sia sufficientemente attrezzata per affrontare queste materie. Qui si innesca un meccanismo diverso, che è quello di chi, come e quando debba elaborare le proposte di riforma e in quali tempi debba avvenire il pronunciamento definitivo da parte del Consiglio regionale.

Negli anni passati, lo riconfermo qua, mi sono schierato contro l’Assemblea costituente e contro la Consulta. Rimango ancora oggi convinto che questa sia la sede deputata per scrivere il nuovo testo costituzionale, con tutte le possibilità che abbiamo sulla base dell’articolo 42 dello Statuto, sulla base del Regolamento, delle Commissioni già esistenti: può essere la Commissione I ma può anche essere una commissione speciale; non metto limiti a questo, credo che siamo tutti disponibili ad affrontare con serenità il metodo migliore e più condiviso che quest’Aula potrà indicare. Faccio questo ragionamento per evitare di illustrare la mozione, che credo debba essere attentamente letta; anche se, con quanto vado dicendo, sto anche contestualmente illustrando la mozione.

Ci sono degli argomenti però che rischiano, o potrebbero rischiare, di compromettere quella che noi invece identifichiamo come la strada maestra. Dobbiamo essere tutti quanti uniti in questa battaglia, non possiamo trovare un solo argomento che ci veda contrapposti in maniera intransigente. Faccio per questo riferimento ad un passo dell’intervento del collega Maninchedda, che dice: “Noi sardisti siamo d’accordo a dichiarare il principio dell’indipendenza separatamente dagli atti legislativi, per rendere praticabile l’attività legislativa nel contesto normativo attuale, perché questo significa essere riformisti e non rivoluzionari, ma lo Stato deve sapere ufficialmente che con noi qualsiasi accordo è sempre e solo una tappa di un percorso”. Mi fermo qui perché sarebbe inutile andare avanti. Credo che in queste parole, in queste 5 o 6 righe – grazie ovviamente all’abilità di un docente universitario, di una persona che molto lavora con la testa – se lette con attenzione, si individui un’apertura in uno scenario che altrimenti ci potrebbe vedere fortemente divisi. Non vado oltre su questo argomento, credo di essere stato sufficientemente chiaro.

C’è un momento nel quale dobbiamo stare attenti. Leggevo ieri notte un passaggio riferito a Plutarco, il quale diceva, a proposito della politica: “Che cos’è la politica? E’ l’arte di far apparire vero il falso”. Noi dobbiamo dimenticarci di questa cosa, perché per troppo tempo e per troppi secoli la politica è stata questo. Noi non possiamo vendere ciò che non abbiamo, non possiamo raccontare frottole; noi dobbiamo andare al sodo, dobbiamo cercare di immaginare uno Statuto, una legge costituzionale, che appartenga ai sardi, che non sia un punto fermo.

Per ritornare all’inizio del ragionamento, non vorrei che fra sessant’anni i nostri eredi, i colleghi consiglieri che si succederanno nelle future legislature, possano ancora una volta ricordare l’esperienza che noi stiamo vivendo oggi e accorgersi di non aver fatto niente in questi ulteriori sessant’anni. Non possiamo permetterci di avere uno Statuto statico, deve essere una materia in continua evoluzione e quindi, anche nella trattativa con lo Stato e col Governo, credo sia necessario e indispensabile mettere in piedi tutta una serie di atti per arrivare poi alla stesura definitiva di uno Statuto che non sia un punto fermo: l’Europa cambia, il mondo cambia, l’Italia cambia, cambia anche la Sardegna – ed è cambiata tanto in questi sessant’anni – però, se andiamo a vedere cosa esattamente è cambiato, è cambiata la Sardegna ma non sono cambiati i rapporti tra noi e lo Stato italiano.

Questa è la realtà delle cose; allora, questa non è una colpa dello Stato, non è una colpa del Governo: è forse una responsabilità nostra, direi per certi versi molto nostra; perché, quando si è scritto lo Statuto sardo, negli stessi anni si scriveva anche lo Statuto siciliano e noi, per la nostra testardaggine di allora, non ci siamo voluti equiparare alle rivendicazioni della Regione Sicilia, e abbiamo avuto quindi i 3 decimi e non i 9 decimi, e non abbiamo avuto tutta una serie di riconoscimenti che loro hanno avuto già da allora e che peraltro non hanno adeguato neanche loro poi successivamente.

Ma io vorrei dire che la Sardegna è assolutamente diversa dalla Sicilia: noi abbiamo una distanza con il resto del territorio nazionale che è un elemento oserei dire traumatico, ma che allo stesso tempo ci agevola nel salvaguardare le nostre tradizioni, la nostra cultura, il nostro modo di intendere le cose. Questo è quello che dobbiamo caratterizzare con il nuovo Statuto, dobbiamo essere in grado non dico di imporre allo Stato, perché non possiamo imporre niente allo Stato, ma di veicolare lo Stato verso una forma di devoluzione, di riconoscimento di Statuti speciali che aiutino lo Stato, non che gli creino dei problemi.

Se fossi nei panni di chi sta al Governo, se fossi nei panni dei parlamentari – ciascuno di noi lo farebbe – agevolerei questo percorso, dicendo allo Stato: “Stai attento ché così non vai da nessuna parte, cerca di capire quali sono le necessità dei territori, soprattutto di quei territori che hanno delle caratteristiche particolari”. Dovremmo aiutare lo Stato a devolvere, a partecipare con una ridefinizione anche dello Stato italiano. Lo Stato, può tenere quattro, cinque punti che non possono essere devoluti; parlo della giustizia, della sicurezza, anche dell’insieme delle risorse finanziarie che devono essere ripartite nel territorio: ci sono alcuni argomenti che non possono essere patrimonio delle Regioni, men che meno della Sardegna, perché altrimenti andremmo incontro a una stesura che solo dal punto di vista dei termini verrebbe impugnata immediatamente e bocciata sia in prima che in seconda lettura.

Dobbiamo scrivere delle regole, dobbiamo scrivere una legge che ci metta al riparo da questo, non possiamo permetterci di sbagliare! Ecco perché dobbiamo stare molto attenti, perché è necessario un grande coinvolgimento del Consiglio, perché è necessario cercare il coinvolgimento di tutti, se fosse indispensabile, anche con un referendum: non possiamo presentarci con una norma che nasce qui dentro e viene presentata da qui dentro; non è possibile, potremmo anche trovare l’accordo, così come dice il Regolamento, per l’approvazione dello Statuto e poi inviarlo alle Camere e al Governo, ma credo che non possiamo rischiare di sbagliare in questa fase. E’ indispensabile che il popolo sardo si renda conto di cosa stiamo facendo.

E stiamo attenti a un’altra cosa: non diamo la possibilità di cavalcare una strada che in qualche maniera crea disagio sociale, crea dei problemi all’interno del popolo sardo. E’ troppo facile, quando le cose vanno male, pensare come prima cosa: mandiamo a quel paese la nazione Italia, mandiamo quel paese il Governo italiano, mandiamo a quel paese Parlamento, Senato, Camera e quant’altro; diventa troppo facile, diventa come la battaglia dei pastori ed è facile oggi scendere in piazza e fare i capipopolo. Guai a chi prendesse questa decisione, perché siamo in un momento veramente difficile per la Regione Sardegna ma che può diventare un momento estremamente importante se riusciamo a lavorare nella giusta direzione.

Noi non chiudiamo la porta a nessun tipo di proposta che arriva: siamo disponibilissimi; è chiaro che cerchiamo un consenso molto diffuso, non all’interno delle forze di maggioranza all'interno dell’intero Consiglio regionale, perché credo che questa sia la strada maestra. E’ una strada che deve tracciarci un orizzonte futuro che non riguarda il centrodestra o il centrosinistra, che non riguarda neanche le nuove esperienze politiche che si vedranno fra venti, trent’anni, quando magari ci saranno solo due partiti, quando magari ce ne sarà uno solo e le minoranze saranno minoranze che vengono emarginate. Non possiamo permettere questo! E non possiamo neanche permettere che una battaglia non condivisa possa diventare una fiammella continua che alimentiamo per il futuro e che però poco produce. I sardi hanno bisogno di qualcos’altro. Dobbiamo essere tutti convinti, molto convinti delle cose che facciamo.

L’invito che mi pare di aver rivolto, ma che ribadisco, è: stiamo tutti quanti attenti a ciò che scriviamo. Le modalità le studiamo, le possiamo ricercare. In Conferenza dei Capigruppo si è detto: “Non entriamo troppo nel merito, cerchiamo di individuare la strada più semplice, più facile, quella che ci accomuna di più”. Un passo indietro siamo disponibili a farlo tutti quanti, perché credo che con le fughe in avanti nulla si possa ottenere; io sono convinto che noi abbiamo la forza, la capacità e la giusta attenzione per i problemi.

E’ un momento difficile, non solo per la Sardegna. E’ un momento difficile per lo Stato italiano, è un momento difficile per l’Europa; non c'è nessuna possibilità che in Europa nascano nuovi Stati – leviamocelo dalla testa perché andremmo fuori dall’Europa, non è possibile – quindi dobbiamo fare i conti con lo scenario politico e istituzionale che ci ritroviamo in Europa e in Italia. Le fughe in avanti, anche di forze politiche nazionali che oggi governano, le leggiamo e, spesso e volentieri, non le condividiamo: noi vorremmo essere partecipi di un’Italia che non ha Nord e Sud, vorremmo essere partecipi di un’Italia in cui si vive bene ovunque.

Sul federalismo fiscale certamente torneremo tante volte, perché possiamo inventare il federalismo asimmetrico, possiamo inventare il federalismo solidale, possiamo dire che i costi standard non ci vanno bene. Certo, non ci vanno bene i costi standard, qualcuno lo ha già detto: ci sono dei costi che al Centro-Nord Italia sono facili da rispettare come costi standard e poi c’è una parte del Meridione e della Sardegna dove è difficilissimo che i costi standard possano tenere il passo delle altre Regioni d’Italia.

La discussione ci sarà e spero non sia una discussione breve; spero che tutti i colleghi abbiano la voglia e la volontà di dire come la pensano, anche di interpretare quello che sentiamo fuori – le molte cose che sentiamo fuori – e credo sia opportuno che noi ci facciamo sentire di più. Non sarebbe stato male forse avere la diretta televisiva, credo che probabilmente i mass media dovrebbero dedicare più tempo a questo dibattito e seguirlo meglio, credo che una pagina al giorno sui quotidiani più rappresentativi della Sardegna dovrebbe essere dedicata a questo momento: si può pensare di dedicare la terza o la seconda pagina ad argomenti che oggi sono trattati in modo assolutamente insufficiente rispetto a quanto stiamo facendo, con un trafiletto o con due, tre colonne al massimo.

Qui si sta scrivendo la nuova storia della Sardegna; o se ne prende coscienza – e ne prendono conoscenza anche quelle persone che come noi possono rappresentare ciò che sta accadendo, – o altrimenti lo dobbiamo fare noi e per farlo credo che ci dobbiamo attrezzare tutti all’interno dei nostri gruppi politici, dei nostri partiti, delle nostre organizzazioni: partecipare, discutere, fare sentire il polso della situazione. Se siamo capaci di fare questo credo che la strada non sarà in salita; sarà una strada difficile, avrà anche dei pericoli ma credo che tutto sommato avremo la capacità di andare avanti.

Se seguiamo questi e altri consigli e suggerimenti che sono nati e stanno nascendo all’interno di questa Assemblea nel corso del dibattito, credo che il percorso sarà certamente molto più agevole e forse un domani qualcuno potrà dire: il collega Maninchedda o il professor Maninchedda in quegli anni disse anche questo.

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